La corsia di un pronto soccorso è un luogo di per sé poco desiderabile, passarci la vigilia di Natale lo è ancora meno.
Eppure la mia vigilia è andata così.
Una fatalità mi ha fatto cadere dalla bicicletta e ho sbattuto violentemente la faccia sul porfido di Città Alta. Naso rotto, due punti, dito lussato e una faccia da pugile.
Bloccato sull’asse della barella non potevo vedere nessuno se non le luci della corsia. Sentivo le voci e i discorsi dei dottori, infermieri e malati. Per quattro ore ho sentito le voci di uomini e donne senza vedere i loro volti e mai mi sono sentito così tanto parte della loro sofferenza, il loro male era il mio male, la loro ricerca di stare meglio e la fiducia, oltre che la speranza riposta nel personale medico, era la stessa. Ho pensato in quelle ore bloccato “chi sono in fondo io per meritare tutta questa cura?”
La nostra sofferenza ci può aprire agli altri, spesso è soffrendo e sentendosi vulnerabili che noi possiamo sentire il nostro cuore e quello altrui.
Se vogliamo aiutare gli altri dobbiamo farci aiutare.
Se vogliamo aiutare noi stessi dobbiamo aiutare gli altri.